La disciplina
A cura di Pierpaolo Silvestri
Parlando della disciplina del Corpo degli Arditi, bisogna affrontare un capitolo a parte, perché ci sono molte interpretazioni con molti sfasamenti storici.
Nel libro scritto da Padre Reginaldo Giuliani “Gli Arditi –breve storia dei Reparti d’Assalto della Terza Armata” (Ed. Treves. 1926) nel capitolo “Il cuore degli Arditi”, a pagina 30 –paragrafo 2- il Cappellano parla della loro disciplina. Lasciamo a lui la parola:
“L’elemento scelto delle truppe d’assalto impose una forma di disciplina, più intelligente, più dolce, ma non meno efficace ad ottenere il rispetto e l’obbedienza.
La disciplina nell’esercito si informa variamente allo spirito dei diversi corpi: altra è la soggezione del fante, altra quella del bersagliere, altra quella dell’alpino, altra quella dell’ardito, del quale si deve sviluppare l’individualità. L’ardito non amava piegarsi agli ordini rigidi e senza motivazione: voleva essere illuminato sul proprio lavoro. La sua fiducia nei dirigenti dipendeva meno dal loro grado che dal loro valore personale: quando però aveva apprezzato un ufficiale lo seguiva poi ciecamente, in qualunque impresa.
Da parte loro, gli ufficiali nutrirono un sentimento paterno verso i dipendenti e nel mantenere la disciplina badarono più alla sostanza che alla parola dei regolamenti.
Questa specie di famigliarità scandalizzò qualche critico, che giudicò che fra gli arditi non ci fosse disciplina. Niente di più falso: si trascurava talvolta la forma rigida, tradizionale nelle caserme, ma nient’altro che questa forma. La gioventù intelligente, cosciente e varia, di cui si componevano i nostri reparti, fu sempre docilissima; non contano le piccole eccezioni, che, in un ambiente sì acceso avrebbero potuto provocare vasti incendii, e invece non turbarono mai la virile obbedienza della massa.
… . La coercizione irrita gli animi bollenti e la scontentezza si incupisce talvolta in cattiveria. La mia esperienza mi dice che i battaglioni d’assalto che apparivano talvolta più regolari, erano meno morali e meno disciplinati di quelli in cui gli arditi potevano portare il, berretto sull’orecchio,la giubba sbottonata, le mani in tasca… e la fronte più alta e il cuore più aperto.
Ho sentito parecchi ufficiali di altri corpi, notare che gli arditi, meglio degli altri salutavano i superiori che incontravano sulla strada. …”
Due esempi, sempre narrati dal nostro Santo: “…Un giorno i nostri arditi, dopo aver pranzato in un’osteria di Treviso, si videro portare sopra un piatto un conto molto salato. Essi posarono sul piatto per saldo, una bella bomba; s’alzarono e finsero di andarsene, mentre padroni e serve, spaventati, li seguivano supplicandoli di riprendere quell’oggetto pericoloso …e dicendo che erano pronti a rimettere tutto il debito. Gli arditi ritirarono la bomba e posero sul piatto un biglietto di dieci lire, che, a loro giudizio, pagava giustamente quanto avevano consumato.
Padre Giuliani narra poi di un battaglione che accasermato presso una cascina dove dalla cucina penzolavano dei salami invitanti e dove l’aia era piena di galline, nell’accomiatarsi, il contadino gli dice: “ Che buoni figlioli! In tutto il tempo che sono stati in casa mia non mi è mancata la penna di una gallina né un salsicciotto!”
Un altro Ardito narratore è Giovanni Corsaro, che nel suo libro “Arditi di Guerra” Ed. Aurora MI. 1935 –XIII a pagina 19, descrive “Le Calunnie e le leggende sfatate”. Egli scrive:
Che cosa non si disse e che cosa non si inventò contro gli Arditi!
Coloro che più s’accanirono a denigrare ed a calunniare i magnifici soldati d’Italia, furono naturalmente i vili, i codardi, i panciafichisti, gli imboscati, e cioè i più pericolosi nemici della Patria.
Non contenti di avere in tempo di pace, e in nome di un ridicolo e falso idealismo umanitario, sabotato e ostacolato in tutti i modi e con tutti i mezzi l’organizzazione militare d’ Italia; non contenti d’aver trescato con i tedeschi nel periodo della neutralità per evitare l’intervento dell’Italia; non paghi di aver mancato all’appello della Patria e di essersi fraudolentemente sottratti al più sacro dei doveri di ogni cittadino; tentarono di minare la saldezza dell’esercito e di diminuire la sua resistenza, abbandonandosi alla più sozze e insultanti calunnie contro il corpo delle “Fiamme Nere” che costituiva, per loro, la più schiaffeggiante delle umiliazioni.
Così quelle voci calunniose, sparse ad arte e dapprima incerte e mormorate, finirono col diventare un’opinione diffusa; e da ciò nacquero purtroppo le leggende più fosche e insieme più ridicole, destinate ad offuscare la fama di quelli che furono riconosciuti i migliori soldati del mondo. … Si disse ch’era gente abituata a maneggiare il coltello, ad aggredire i viandanti, a percorrere armate le boscaglie, ad operare dietro le siepi ad assaltare vetture e automobili per depredare i viaggiatori. Si disse, ancora, che i Reparti d’Assalto davano buoni risultati appunto perché erano formati da gente abituata al sangue e alla rapina; che con la loro costituzione autonoma si era voluto precisamente “epurare” i reggimenti degli elementi peggiori, e cioè isolare i delinquenti, i teppisti, i mafiosi, la feccia della società, gli avanzi di galera, tutti quelli, insomma, cha avevano vergognosi precedenti penali e che erano segnati sul libro nero della polizia.
Si aggiunse che gli Arditi assalivano e scannavano quanti carabinieri capitava loro di incontrare; che di notte andavano in giro a svaligiare le case dei poveri paesi in cui erano accantonati o accampati; che facevano man bassa sui raccolti di ogni genere, pronti, ove i contadini avessero osato lagnarsi, ad ucciderli come cani, malmenando e violentando le loro donne. …”
Dunque, gli Arditi, sono descritti, al e dal popolo, come assassini e come gentaglia. In realtà alcuni fatti marginali sono accaduti, di poca importanza, tanto che rimandiamo il lettore al libro, edito dallo Stato Maggiore dell’Esercito –Ufficio Storico. 2007. “I Reparti d’Assalto italiani nella Prima Guerra Mondiale (1915-1918) scritto dal Colonnello Basilio Di Martino e dal Tenente Colonnello Filippo Cappellano, dove da pagina 915 è descritto il capitolo “La Disciplina”.